Apprezzata ed utilizzata oggi dai veri intenditori della qualità, la carta di Amalfi ha una tradizione antichissima. Simbolo del made in Italy riconosciuto in tutto il mondo, questo tipo raffinatissimo di carta era già prodotto nel Medioevo nella città campana da cui prende il nome.
Detta anche Charta Bambagina, la carta di Amalfi deve il suo nome probabilmente alla città araba di El Mambig, o al nome greco “bambax” che significa cotone. In effetti, la carta bambagina non viene ricavata dalla cellulosa, ma viene prodotta da stracci e cenci di lino, cotone e canapa di colore bianco, attraverso un particolare tipo di procedimento.
Le stoffe, raccolte in vasche di pietra dette “pile”, venivano ridotte in poltiglia per mezzo di magli di legno chiodati all’estremità e mossi da mulini a propulsione idraulica. La forma e le dimensioni dei chiodi sui magli determinava la consistenza della poltiglia e, quindi, la grammatura o lo spessore dei fogli di carta.
La poltiglia veniva poi trasferita in un tino, dove veniva calata la “forma”, che aveva la bordatura in legno e la filigrana nel mezzo, composta da una fitta rete di fili di ottone o bronzo. La filigrana conteneva i marchi di fabbrica, che servivano a contraddistinguere i vari cartari. Questi marchi, visibili in controluce, raffiguravano simboli civici, araldici e religiosi.
La poltiglia, che si era attaccata alla forma, veniva trasferita su un apposito feltro di lana. Veniva fuori, dunque, una catasta di fogli di carta molto umidi, a cui si alternavano altrettanti feltri di lana. I fogli venivano successivamente pressati da un torchio di legno e staccati uno a uno dai feltri per essere portati nello “spandituro” ad asciugare. Infine, i fogli venivano stirati nella stanza dell’ “allisciaturo”.
Intorno al 1700, la pila a maglio fu sostituita dalla “macchina olandese” per una maggiore produzione della poltiglia.
Oggi la carta di Amalfi viene prodotta dalle cartiere che ancora resistono sul mercato. La realizzazione avviene attraverso macchinari più sofisticati che ne permettono una maggiore raffinatezza. Non solo. La resa pittorica e di stampa della carta di Amalfi è di qualità eccellente dato che il supporto si adatta perfettamente all’inchiostro delle moderne stampanti.
Considerata un prodotto di nicchia per il settore artigianale, la carta di Amalfi viene oggi utilizzata in occasione di annunci di cerimonie. Fra i personaggi più noti che hanno fatto uso frequente della carta di Amalfi troviamo Mozart, Lord Byron, Oscar Wilde, Stendhal. E ancora, fino ai giorni nostri, si possono citare artisti come Guttuso, Sofia Loren, l’ex Presidente degli Stati Uniti G.W. Bush, Robert de Niro, Tony Bennett, Jerry Lewis.
La carta di Amalfi è molto utilizzata e apprezzata anche nei settori del disegno e della pittura.
]]>È molto probabile che tra il 400 ed il 600 d.C. cominciarono a essere usate le penne di uccello, da cui il nome tramandato fino ai giorni nostri di penna, approdando poi all’uso delle penne d’oca, che per la loro durata e resistenza rimasero il più diffuso strumento per scrivere praticamente fino al 1800. La punta della penna veniva temperata di frequente, come si fa con le matite e prima di usarla per scrivere doveva essere immersa in una boccetta contenente inchiostro: il calamaio.
La penna come noi oggi la conosciamo arriva intorno agli inizi del 1800 con l’introduzione dei primi pennini metallici alla cui rigidità si ovviò applicando tagli e forature che diedero ai pennini l’elasticità necessaria per la scrittura. Si cominciarono così a diffondere pennini d’acciaio montati su canne di legno o avorio che erano usati come le penne d’oca. La criticità di utilizzo di tale strumento era rappresentata dal fatto che spostando il pennino dal calamaio al foglio cadevano gocce d’inchiostro; dalla ricerca di soluzione al problema nacque l’idea di montare il pennino su un cilindro cavo riempito di inchiostro: nacquero così le prime stilografiche.
Nei primi anni del 1900 venne introdotto all’interno del cilindro cavo un serbatoio in gomma che permetteva di ricaricare d’inchiostro la penna immergendo la punta in una boccetta e facendo pressione sul serbatoio per farlo riempire. La penna stilografica, facile da usare e veloce per la scrittura, conoscerà un successo e una diffusione enormi, almeno fino al debutto della penna a sfera.
L’ultima tappa della storia della penna, porta il nome di una persona che la usava per mestiere, il giornalista ungherese, László Biró (1899-1985) che cominciò a usare per scrivere lo stesso tipo di inchiostro utilizzato per stampare i quotidiani, più denso di quello delle stilografiche ma anche più veloce ad asciugarsi, e poiché per usare tale tipo di inchiostro la punta della stilografica non andava bene, all’estremità della sua penna mise una piccola sfera mobile: la sfera scorre sulla carta raccogliendo inchiostro dalla cartuccia all’interno della penna scrivendo quindi contemporaneamente sul foglio. La penna a sfera, o biro, è economica, maneggevole e praticissima da usare ed era nata per non essere più sostituita da altri strumenti di scrittura a mano.
Oggi la scelta di ricambi per questo tipo di penna è vasta e variegata; si possono avere refill roller, feltrino, sfera il tutto in varietà di spessore e colore del tratto.
Ma questo è anche il tempo in cui la penna è molto meno utilizzata che in passato, tuttavia nessuna evoluzione tecnologica potrà mai sostituire il piacere di scrivere a mano così come non potrà mai essere sostituita l’originalità e l’eleganza di una penna realizzata artigianalmente, tra l’altro un’idea regalo in genere molto apprezzata un po’ a tutte le età.
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